L’epoca che ci è toccata in sorte ha il bagliore spettrale di una televisione accesa in un salotto in penombra. Un uomo guarda lo schermo. Sgranocchia qualcosa. Ha in mano il telecomando, la bacchetta magica che gli consente con la semplice pressione di un pulsante di evocare immagini, di suscitare storie, di viaggiare in paesi d’incanto…. Di avere il mondo in casa, a portata di mano. Ma il discorso che di canale in canale si dipana è sempre lo stesso.
Logico ed implacabile. “Noi siamo i produttori, gli organizzatori e i registi”, ripete continuamente una voce calda e anonima, “ tu sei lo spettatore. Ti è concesso a tuo gradimento scegliere fra quanto abbiamo il piacere di offrirti. Devi solo stare comodo in poltrona. Ma ti è tassativamente proibito intervenire in qualunque modo nella pianificazione e nella stesura dei nostri format".
Col suo piatto in grembo, l’uomo si addormenta felice. Sullo schermo una donna piange sul cadavere del figlio.
Di fronte a questa catastrofe morale, la poesia non può e non deve tacere, non può e non deve trasformarsi in un ulteriore giocattolo nelle mani sazie di chi ha già tutto.
La presente opera, per espresso volere dell'autore è NO Copyright
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