Il Cinquecento è stato per la Calabria, come per altre aree d'Italia e d'Europa, un secolo di grande espansione: la popolazione tra l'inizio e la fine del secolo è raddoppiata, sono migliorate le condizioni economiche e il modo di gestire l'agricoltura. Sono nati nuovi centri su iniziativa oculata di alcuni feudatari (nella nostra zona sono stati fondati Fabrizia, Canolo e Caraffa del Bianco per esempio). In Calabria sono giunte importanti famiglie di origine genovese (il fenomeno è notissimo ed è chiamato dagli studiosi "la calata dei genovesi") attratti da nuove prospettive economiche, alcune sono divenute feudatarie, altre si sono definitivamente stanziate nella regione la cui economia, evidentemente, - al contrario di oggi - richiamava persone dal nord verso il sud. Il Seicento, invece, in linea con il resto del nostro continente, segna una fase di arresto della crescita e in taluni casi di recessione economica e demografia. Le ragioni che spiegano il fenomeno non sono da ricercare in Calabria ma nell'economia mondiale, legata allo sfruttamento non del tutto oculato delle colonie americane da parte della Spagna. La cosiddetta rivoluzione dei prezzi, cioè un aumento esponenziale dell'inflazione durante gli ultimi decenni del '500 che produsse danni gravissimi soprattutto ai lavoratori salariati. A complicare le cose giunsero fenomeni di carattere naturale, quali terremoti, carestie ed epidemie a cui vanno aggiunte le guerre, prima fra tutte quella del trent'anni (1618-1648) che segnò il definitivo tramonto della potenza spagnola. Tali problemi ne generarono altri: il Seicento in Italia e anche in Calabria è il secolo delle rivolte, rivolte antifeudali, antifiscali, antispagnole certo ma in larga misura indotte dalle peggiori condizioni economiche.
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